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In ambiente religioso, dove trovò una duratura collocazione nei secoli, le foglie della sua pianta venivano considerate tra l’altro un ingrediente fondamentale di quell’elisir di lunga vita invano vagheggiato dai monaci taoisti. I monaci buddhisti inoltre attribuirono agli infusi preparati col le foglie di tè una ulteriore proprietà: quella di favorire la concentrazione.
Di fatto proprio i monaci se ne servivano estensivamente durante le lunghe ore di meditazione per combattere la sonnolenza. L’uso del tè come bevanda era certamente assai diffuso in oriente.


Il tè giunse in Giappone per la prima volta intorno al X secolo ma fu il XIII secolo a testimoniarne la diffusione a seguito dello sviluppo della dottrina Zen, una forma di buddhismo contemplativo mutuata dalla Cina. La tradizione attribuisce al monaco buddhista Eisai (1141-1215) il merito di aver introdotto il tè in Giappone. Si narra che Eisai avesse trascorso un certo periodo in Cina studiando lo Zen e che al suo ritorno in Giappone avesse portato con sé i semi di quella pianta magica e che avesse iniziato a coltivarla nel giardino del monastero. Al pari dei suoi antenati cinesi egli era convinto delle svariate proprietà officinali della pianta. Fu solo in un momento successivo però che il tè si diffuse come forma di intrattenimento, sia per gli ospiti del monastero che per gli stessi monaci. E in qualità di intrattenimento dunque il tè si trasformò presto in teismo, ovvero culto del tè, il Chanoyu (letteralmente "acqua per il tè"), e avvicinandosi sempre più all’arte cominciò a dissociarsi dall’ambiente esclusivamente monastico.



Continua...

Tina.




















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