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Lo zen e l'arte del the.

Ultimo Aggiornamento: 25/03/2009 22:27
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22/03/2009 00:55
 
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Negli ultimi decenni si è notata, in Italia, una lenta ma progressiva diffusione delle culture orientali sotto forma di moda, religione e stile di vita. Per quanto spesso tali culture siano considerate un tutt’unico, spiccano per importanza e diffusione lo yoga e il buddhismo che in una sua forma tipicamente nipponica, lo zen, ha colpito l’immaginario collettivo tanto da divenire in principio una moda dal gusto orientaleggiante, in sèguito un vero e proprio punto di partenza per comprendere la cultura nipponica. Di fatti, molte delle arti tradizionalmente legate allo zen cominciano ad interessare gli italiani. Tanto per citare alcuni esempi, ci sono i concorsi di Haiku (breve componimento poetico spesso ermetico), corsi di preparazioni del tè (secondo il modello della cerimonia del tè giapponese), mostre di scrittura e da sempre corsi di arti marziali che per primi hanno cominciato a destare l’interesse di molti verso l’Oriente.
Non va dimenticato, tuttavia, che lo zen resta relegato, principalmente, in un àmbito prettamente elitario e rappresenta uno “stile di vita” ancora accessibile a pochi.

Lo Zen non conosce dèi, non ricerca l'immortalità e non ammette concetti come peccato o anima.
La pratica fondamentale dello Zen è lo zazen, che viene intrapresa al fine di ottenere le condizioni ottimali per vedere direttamente in se stessi e scoprire nella purezza della propria esistenza la vera natura dell'essere. Lo Zen crede che la persona comune sia presa in un groviglio di idee, teorie, riflessioni, pregiudizi, sentimenti ed emozioni tali che non le permettono di cogliere la verità e la realtà ma solo frammenti di essa. Lo scopo dello zazen è dunque quello di liberare l'individuo e di consentirgli di entrare in modo pieno e diretto nella realtà.

In particolare, la cerimonia del tè, nella sua essenza, è l’espressione sintetica degli aspetti fondamentali della cultura giapponese. In quanto tale si è conservata nei secoli e nonostante l’inevitabile commercializzazione, avvenuta nell’immediato dopoguerra, è riuscita a preservare la sua simbologia al di là dell’innegabile aspetto folkloristico ad essa connesso.



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Tina.



















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22/03/2009 00:57
 
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In ambiente religioso, dove trovò una duratura collocazione nei secoli, le foglie della sua pianta venivano considerate tra l’altro un ingrediente fondamentale di quell’elisir di lunga vita invano vagheggiato dai monaci taoisti. I monaci buddhisti inoltre attribuirono agli infusi preparati col le foglie di tè una ulteriore proprietà: quella di favorire la concentrazione.
Di fatto proprio i monaci se ne servivano estensivamente durante le lunghe ore di meditazione per combattere la sonnolenza. L’uso del tè come bevanda era certamente assai diffuso in oriente.


Il tè giunse in Giappone per la prima volta intorno al X secolo ma fu il XIII secolo a testimoniarne la diffusione a seguito dello sviluppo della dottrina Zen, una forma di buddhismo contemplativo mutuata dalla Cina. La tradizione attribuisce al monaco buddhista Eisai (1141-1215) il merito di aver introdotto il tè in Giappone. Si narra che Eisai avesse trascorso un certo periodo in Cina studiando lo Zen e che al suo ritorno in Giappone avesse portato con sé i semi di quella pianta magica e che avesse iniziato a coltivarla nel giardino del monastero. Al pari dei suoi antenati cinesi egli era convinto delle svariate proprietà officinali della pianta. Fu solo in un momento successivo però che il tè si diffuse come forma di intrattenimento, sia per gli ospiti del monastero che per gli stessi monaci. E in qualità di intrattenimento dunque il tè si trasformò presto in teismo, ovvero culto del tè, il Chanoyu (letteralmente "acqua per il tè"), e avvicinandosi sempre più all’arte cominciò a dissociarsi dall’ambiente esclusivamente monastico.



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Tina.




















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Il Sado, la via del tè, nella sua sobrietà rappresentava quella costante ricerca della semplificazione che è tipica dello Zen e dallo Zen mutuava il suo peculiare senso estetico, propriamente quella sensuale consapevolezza del Vuoto espressa dal concetto di Wabi. Il Chanoyu si diffuse a partire dal XV secolo grazie ad altri monaci zen che lo adattarono ai gusti giapponesi e progressivamente fecero di esso una forma artistica e nel contempo furono iniziatori di varie scuole, alcune delle quali ancora oggi fiorenti.




Il tè che si usa nella cerimonia non è il comune tè in foglie che si immerge in acqua calda. Si tratta di un tè dal caratteristico colore verde brillante, finemente polverizzato e disciolto in acqua calda con un frullino di bambù. Ne risulta una bevanda densa, leggermente spumosa, da un caratteristico sapore amarognolo assai diverso da quello del tè comune. Uno scrittore cinese lo ha infatti poeticamente definito "spuma di giada liquida".



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Acqua, terra, fuoco, legno, metallo

Nella cosmogonia dell'estremo oriente sono gli elementi fondamentali che costituiscono ogni cosa, e sono presenti nella Cerimonia del Tè.

L'Acqua, purificatrice e apportatrice di vita. Nella Cerimonia è presente sia acqua fredda, che calda, cioè sia lo Yin che lo Yang;

Terra: è presente comel vasellame di terracotta o porcellana. Alcune ceramiche, ad esempio le ceramiche Raku, hanno un'aria volutamente "terrestre", con colori presi dalla natura;

Fuoco: il braciere;

Legno: molti degli oggetti usati sono di legno;

Metallo: il bollitore in ghisa.



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La cerimonia del tè si divide in tre momenti distinti:

- Kaiseki un pasto leggero consumato prima del tè;
- Koicha il tè denso;
- Usucha il tè leggero.

La cerimonia nella sua interezza richiede molte ore per cui, riservando la cerimonia completa alle occasioni speciali, generalmente ci si limita al solo momento dell’Usucha. Un elaborato codice di etichetta regola tutte le fasi della cerimonia a partire dal numero di giorni di anticipo con cui si estende un invito (generalmente non più di cinque), al rituale lavaggio delle mani prima di accedere alla sala del tè, al posto da occupare durante la cerimonia, sia per gli ospiti che per il padrone di casa, alla designazione dell’ospite d’onore, al modo di servire e di bere il tè. La rigida osservanza delle regole formali altro non è che un modo per assicurare che nulla di imprevisto turbi la decorosa serenità e armonia di spirito associata alla cerimonia stessa.



L’Usucha e il Koicha rappresentano visivamente due momenti distinti della cerimonia e il rituale ad essi associato è infatti diverso. Il Koicha prevede l’uso di un’unica tazza da cui ogni ospite beve solo pochi sorsi. Il protocollo prevede che prima di portare la tazza alle labbra la si ammiri; dopo aver assaggiato il tè ci si complimenti per il sapore e poi si bevano ancora un paio di sorsi prima di passare la tazza all’ospite vicino avendo accuratamente asciugato con un tovagliolo la parte da cui sia ha bevuto. Finito il giro è possibile che l’ospite più importante chieda di ammirare nuovamente la tazza per apprezzarne la qualità. Nel caso dell’Usucha il protocollo è leggermente diverso. Ogni ospite infatti beve tutta la tazza di tè, poi con le dita asciuga il bordo e si asciuga le mani con un tovagliolo, e restituisce la tazza al padrone di casa che la lava con acqua calda e dopo averla asciugata la riempie di nuovo per servire un altro ospite. La tazza viene data all’ospite presentando la parte più bella. L’ospite a sua volta avrà cura di girarla in modo da non bere dalla parte migliore.





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Il buddhismo Zen non solo ha creato la cerimonia del tè conferendo ad essa spiritualità e profondità, ma ha permeato e spiritualizzato la stessa sala adibita al suo culto. La sala da tè può essere una unità separata dal resto della casa (sukiya) o far parte della casa stessa. Le dimensioni della classica sala da tè sono di quattro tatami e mezzo, con il mezzo tatami al centro. Al centro è posta la teiera mentre gli ospiti, non più di cinque per le piccole dimensioni della stanza, si dispongono sui rimanenti quattro tatami. La sala da tè, per dimensioni e semplicità, contrasta spesso con il resto della casa. In essa si vuole creare un’idea di raccoglimento e di semplicità. Si differenzia da un soggiorno perché è chiusa su tutti e quattro i lati, rappresentando uno spazio isolato e recluso molto suggestivo. La luce vi filtra poco e l’unico elemento decorativo è dato dal tokonoma (sorta di pannello decorativo verticale) che può ospitare un dipinto importante o una composizione floreale. La spoglia eleganza di questo locale, basata solo sulle gradazioni del buio, permette all’animo umano di liberarsi dai legami della vita mondana, librandosi verso più alti valori spirituali. La vera realtà della stanza è il vuoto che, in quanto tale, permette una infinità di interpretazioni e libertà di movimento, sia in senso spirituale che fisico. Solo nel vuoto infatti trovano espressione e realizzazione la vasta gamma di emozioni estetiche e solo attraverso il vuoto l’uomo riesce a superare i suoi limiti fisici e intellettuali, morali e spirituali.


Okakura Kakuzo


Tina.





















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22/03/2009 22:57
 
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[SM=x1065677] Bravissima Ariel,
la Cermonia del tè, come la disposizione dei fiori nell'Ikebana o il disegno e la scrittura, ecc, son tutte forme d'Arte che si accompagnano benissimo con le Arti Marziali.


[SM=x1065724]
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