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Shaolin, culla della arti marziali

Ultimo Aggiornamento: 23/03/2009 20:38
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19/03/2009 20:04
 
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Da Mo arrivò a Shaolin nell’anno 520 dopo aver attraversato il Fiume Giallo - cosi vuole la leggenda - su una frasca di bambù. Per guadagnarsi dei meriti, Da Mo andò ad abitare in una caverna isolata sulla vetta della montagna alle spalle di Shaolin e li trascorse nove anni, seduto, immobile, in meditazione dinanzi a una grande pietra, al punto che su di essa rimase impressa la sua figura. Fu per compensare l’immobilità della meditazione che Da Mo e dopo di lui i suoi discepoli, tra cui il suo prediletto che una volta si mozzò un braccio pur di attirare l’attenzione del Maestro, svilupparono una serie di esercizi intesi a rilassare i muscoli. A quel tempo Shaolin era circondato da una grande foresta, e fu studiando i movimenti degli animali selvatici che i monaci diedero vita alla loro specialissima forma di ginnastica.

I monaci osservarono come i vari animali combattono, come attaccano, come si difendono e di ciascuno di essi cercarono di individuare il punto forte: lo strisciare dei serpente, il saltare della scimmia, il balzare della tigre, il danzare della mantide. Siccome i monaci vivevano isolati ed erano spesso vittime di ladri e banditi, i loro esercizi si svilupparono presto in autodifesa, e Shaolin divenne uno specialissimo monastero dove le lunghe ore di immobile e silenziosa meditazione venivano intercalate da altrettanto lunghe ore di violenti e rumorosi esercizi in cui vecchi e giovani monaci si cimentavano, imitando i gesti degli animali. “il buddismo Zen e il Kung fu sono nati assieme, come due facce di una stessa medaglia, come due modi per raggiungere lo stesso scopo: la pace interiore“, dice De Chan, il settantasettenne abate di Shaolin ora confinato nel suo letto. “Noi combiniamo la concentrazione spirituale con la forza fisica in un’armonia di corpo e di mente. L’uno non può esistere senza l’altra.” Disciplina rigida fu la prima regola dei monastero, e presto i monaci, per le loro abilità, divennero famosi in tutto il paese.

Contadini chiesero il loro aiuto per combattere banditi e despoti; imperatori si rivolsero a loro per restare sul trono. Il monastero ricevette onorificenze, doni, privilegi, e Shaolin crebbe in dimensioni, ricchezze e fama. All’apice della sua storia, Shaolin ebbe duemila monaci, cinquecento dei quali lottatori.

Durante la dinastia Ming il tempio invitò da ogni parte della Cina i migliori maestri delle varie arti marziali e da allora i monaci aggiunsero ai loro tradizionali esercizi l’uso di diciotto armi diverse: dalla semplice spada, alla lancia, al “tridente che vola”, al “martello meteorico”. Ciononostante, l’arma più micidiale di tutte rimase il corpo umano, che i monaci avevano imparato a rafforzare con anni e anni di durissimi esercizi che non sono mutati col passare dei secoli. “Le mani sono le porte che tengono lontano il nemico. I piedi sono il maglio per ucciderlo”, afferma un ex monaco di Shaolin che ora lavora come istruttore presso l’associazione di Deng Feng. Per rafforzare le mani, ai discepoli veniva dato un sacco di fagioli in cui per ore e ore i giovani dovevano con forza conficcare le mani. Dopo due o tre anni i fagioli erano sostituiti con sabbia e l’esercizio veniva ripetuto almeno due volte al giorno finché le punte delle dita non diventavano come “aghi d’acciaio capaci di tirar via in un sol colpo il cuore dal petto di un nemico” (cosi almeno mi dice uno dei vecchi monaci).

[Modificato da lucky 1 19/03/2009 20:06]
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